IL DECALOGO DELLE RAGIONI DEL “NO AL REFERENDUM: NON ANDARE A VOTARE IN UNA CONSULTAZIONE INUTILE, DANNOSA E COSTOSA”

IL DECALOGO DELLE RAGIONI DEL “NO AL REFERENDUM: NON ANDARE A VOTARE IN UNA CONSULTAZIONE INUTILE, DANNOSA E COSTOSA”

IL DECALOGO DELLE RAGIONI DEL “NO AL REFERENDUM: NON ANDARE A VOTARE IN UNA CONSULTAZIONE INUTILE, DANNOSA E COSTOSA”

  1. IL REFERENDUM E’ INUTILE E DANNOSO PER L’INTERESSE NAZIONALE

Dobbiamo sviluppare le energie rinnovabili, ma finché non crescono in termini di rendimento, efficienza e sostenibilità economica, non possiamo abbandonare altre forme energetiche sicure, come l’estrazione del gas. Occorre sviluppare politiche nazionali che mirino alla maggiore autosufficienza energetica possibile, anche per non dipendere da altri Paese, visto che oggi l’Italia importa circa il 90% del petrolio e dei prodotti petroliferi necessari a soddisfare il suo fabbisogno e circa il 90% del gas. Nel 2015 le attività upstream hanno garantito produzioni nazionali per 5,5 Mtep di petrolio e 5,6 Mtep di gas all’anno, circa il 10% del fabbisogno nazionale di olio e gas ed hanno comportato un risparmio sulla bolletta energetica di circa 3,5 miliardi di euro/anno generando investimenti per circa 1,2 miliardi di euro/anno.

  1. IL REFERENDUM E’ UNA “PRESA IN GIRO” POLITICA

Il referendum è anche una grande presa in giro politica agli italiani. Mentre 9 Regioni governate dal PD hanno promosso questo referendum, il PD nazionale ha espresso una posizione politica di “astensione”, con il Governo che giustamente la conferma senza esprimersi. I cittadini non possono pagare le faide e le divisioni interne al PD che vuole essere un partito di “lotta e di governo”.

  1. IL REFERENDUM E’ UNO SPRECO DI RISORSE PUBBLICHE DI OLTRE 400 MILIONI DI EURO

In una fase di crisi come quella attuale, caratterizzata da tagli di servizi ai cittadini e crisi economica, è inaudito sprecare oltre 400 milioni di Euro per organizzare a livello nazionale una consultazione inutile e dannosa come questa. Per la sola Regione Marche verranno spesi dallo Stato circa 4.200.000 euro.

  1. IL REFERENDUM CREA SPRECHI AGGIUNTIVI E INUTILI DI RISORSE PUBBLICHE: I 40.000 EURO DELLA REGIONE MARCHE PER LA COMUNICAZIONE

Il referendum alimenterà ulteriori sprechi di fondi pubblici aggiuntivi a livello locale, come i 40.000 euro stanziati dalla maggioranza in consiglio regionale delle Marche per svolgere “attività di comunicazione” sulla consultazione, per paura di un grande flop di partecipazione. Quante sono le iniziative simili e non conosciute in tutta Italia? Quanto costeranno complessivamente ai cittadini?

  1. E’ IN GIOCO L’AUTOSUFFICIENZA ENERGETICA DEL PAESE

L’Italia – come pure l’Europa – avrà bisogno di utilizzare e importare idrocarburi ancora per decenni. Oggi l’Italia importa circa il 90% del petrolio e dei prodotti petroliferi necessari a soddisfare il suo fabbisogno e circa il 90% del gas. A meno di breakthrough tecnologici – ad oggi difficilmente immaginabili – gas e petrolio alimenteranno ancora nel 2030 oltre il 50% della domanda primaria di energia.

In particolare sempre più rilevante sarà il ruolo del gas naturale per il soddisfacimento del fabbisogno energetico, in integrazione con le energie rinnovabili. Il gas, infatti, combustibile pulito e versatile, oggi soddisfa il 33% del fabbisogno italiano di energia primaria, nel 2030 è prevedibile che questa quota raggiunga circa il 36%, mentre i prodotti petroliferi vedranno ridursi la loro quota dal 35% del 2015 al 33% del 2030. Le concessioni che si trovano all’interno della 12 miglia sono 48 su 69 concessioni e producono circa 2,7 Bcm di gas (60% del totale) e 4 Mln barili di petrolio (73% del totale). Gli impatti economici ed occupazionali del mancato rinnovo delle concessioni di coltivazione degli idrocarburi entro le 12 miglia, sono:

  1. Aumento della dipendenza energetica dall’estero fino ad oltre l’81% rispetto all’attuale 76% (ovvero un aumento dell’import di gas dal 90% al 95% e dell’import di olio e prodotti petroliferi dal 90% attuale al 91.3%). Una riduzione degli investimenti nel settore upstream di circa 1 Mld € e ricadute occupazionali su 5.500 risorse impiegate.

  2. Da un punto di vista di efficienza energetica ed ambientale è importante evidenziare come per rimpiazzare un metro cubo di gas prodotto in Italia occorre importarlo tramite gasdotti o LNG, con un consumo di energia mediamente pari al 10% del volume importato, e quindi un maggiore impatto ambientale (l’import addizionale porterebbe ad un aggravio emissivo di circa un milione di tonnellate di CO2/ anno)

  1. IL REFERENDUM METTE A RISCHIO SVILUPPO E OCCUPAZIONE

L’industria estrattiva energetica crea sviluppo, reddito e occupazione, diretta e indiretta che il sì al referendum rischia di mettere in discussione. Ricordiamo che l’industria estrattiva energetica dà lavoro diretto e indiretto nella sola attività estrattiva a oltre 10.000 occupati, oltre a circa 19.000 addetti nell’indotto esterno al settore (Fonte Assomineraria) e versa nelle casse dello Stato oltre 800 milioni di tasse e 400 milioni di royalties.

  1. IL REFERENDUM MINA LA RICERCA E LA CREAZIONE DI KNOW HOW

Le attività di up stream generano investimenti di ricerca per oltre 300 milioni di euro/anno, coinvolgendo università e politecnici in formazione di know how altamente specializzato. La conseguenza del disimpegno del nostro Paese in questo settore provocherebbe la “fuga di cervelli” ed obbligherebbe ingegneri, tecnici e manodopera specializzata ad andare a lavorare all’estero in paesi confinanti dove questa attività è permessa, facendo perdere al nostro Paese professionalità, competenze e prezioso know how.

  1. RINNOVABILI SI, MA INSIEME AD ALTRE FONTI

Dire NO al referendum non significa non essere ambientalisti, vicini all’ambiente e alle sue esigenze di sostenibilità. Bisogna puntare allo sfruttamento residuo degli impianti già esistenti che devono fare da supporto alle energie rinnovabili sempre più in crescita, ma non ancora autonome in un’ottica di integrazione delle diverse fonti di produzione di energie.

Per investire nel prossimo futuro sulle energie rinnovabili occorre un periodo di “transizione” fisiologico nel quale l’utilizzo delle fonti fossili, soprattutto del gas, ha proprio il compito di supportate questo passaggio. 

  1. L’ESTRAZIONE IN MARE E’ SICURA E CONTROLLATA

L’estrazione di idrocarburi è un’attività completamente sostenibile e sicura. In merito ai timori sull’impatto ambientale delle attività, in particolare quelle offshore, è utile ribadire che la produzione offshore è costituita per gran parte da gas che in fase di combustione produce minime quantità di inquinanti atmosferici come CO2, NOx, trascurabili emissioni di SO2 e non produce polveri sottili. Il gas naturale non è inquinante per le acque, per suolo e sottosuolo. Le statistiche dicono che questa è una delle industrie più sicure, con il tasso di infortuni e di incidenti più basso e dove vengono applicate le tecnologie più avanzate. Non sono mai avvenuti incidenti proprio perché ci sono tanti soggetti pubblici e qualificati che controllano costantemente l’attività estrattiva tra i quali le Capitanerie di Porto, l’Istituto superiore di sanità, Asl, Ispra, Istituto nazionale di geologia e oceanogroafica ed altre strutture dei ministeri competenti. La contrapposizione fra sviluppo economico e ambiente è un modo improprio di porre il problema visto che in Italia l’iter autorizzativo è tra i più severi al mondo e si serve di rigidi controlli ambientali e di sicurezza. Inoltre l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili ed il rispetto dei più elevati standard di sicurezza consentono di perseguire uno sviluppo economico sostenibile anche dal punto di vista ambientale.

  1. L’ATTIVITA’ ESTRATTIVA NON DANNEGGIA IL TURISMO

La coesistenza tra turismo, agricoltura e idrocarburi è confermata in Emilia Romagna, dove in presenza di una storica attività di esplorazione e produzione di energia, si sono sviluppate le eccellenze agricole ed alimentari della “food-valley”. Per quanto riguarda il turismo, significativo è l’esempio di Ravenna che conta circa 40 piattaforme di gas in produzione davanti alla costa e, allo stesso tempo, può vantare 9 bandiere blu nel 2014, corrispondenti a 27 località marine su altrettante spiagge della costa romagnola. Per il turismo locale è molto più negativo il “radicalismo ambientalista” che alimenta nei cittadini preoccupazioni e paure che non hanno fondamento e che li allontano dalle località turistiche.