Il presidente della Commissione Agricoltura della Camera risponde sui temi più dibattuti nel capo dell’agroalimentare e illustra le sue proposte di legge per la tutela del settore lattiero-caseario
Mirco Carloni è presidente della XIII Commissione Agricoltura della Camera dei
deputati, dove porta avanti il suo impegno politico per il settore agroalimentare italiano. Marchigiano, laureato in Giurisprudenza, poco più
che quarantenne, Mirco Carloni ha iniziato il suo percorso politico giovanissimo, entrando a soli 18 anni nel Consiglio comunale di Fano, sua città
natale. È uno dei promotori della recente legge che da un lato vieta la produzione e il commercio delle carni di laboratorio, dall’altro preclude
l’uso dei nomi tipici della tradizione salumiera nazionale ai prodotti ottenuti da ingredienti vegetali.
Onorevole, abbiamo seguito tutto il percorso della recente legge sulle carni di sintesi e non le nascondiamo le nostre preoccupazioni per
il possibile arrivo sul mercato di proteine del latte e casomai di latte ottenuti allo stesso modo. Oltre ai temi della sicurezza alimentare, della brevettabilità dei processi e della tutela della tradizione alimentare italiana, non crede che entri in gioco anche un problema di trasparenza di informazione e di uso corretto delle denominazioni di legge?
Certamente, la finalità di questa legge è proprio quella di non permettere che venga commercializzato sul mercato un nuovo prodotto, senza che ci sia un’oggettiva e documentata evidenza scientifica su ogni possibile rischio, che è bene tenere sotto controllo fino a quando non si sia raccolto un numero significativo di dati e informazioni sufficienti e necessari per valutare la sua incidenza sulla salute dei consumatori, secondo il principio di precauzione.
È sicuramente vero che dobbiamo vedere nelle nuove tecnologie un’opportunità, tuttavia il diritto alla salute rappresenta un interesse primari prevalente che, in quanto tale, nel bilanciamento con gli interessi primari coinvolti, quali la libertà di iniziativa economica e la tutela dell’ambiente,
deve essere preminente. Inoltre, tutelare le denominazioni di legge significa tutelare il prodotto, la sua storia e le persone che hanno lavorato per
renderlo tale. Per questo, all’art. 3 della stessa legge è stata assorbita la mia proposta di legge concernente il divieto di denominazione di carne
per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali; ognuno di noi è libero di scegliere di cosa cibarsi, ma il consumatore ha il diritto di essere
adeguatamente informato. È necessario adottare regole che impediscano agli operatori del settore alimentare che producono alimenti a base vegetale
di poter utilizzare, approfittando della notorietà, denominazioni di vendita che richiamano la carne o i prodotti a base di carne. Si tratta di prodotti
diversi, sia sotto il profilo della metodologia diproduzione, sia dal punto di vista nutrizionale, e per questo devono essere chiamati con nomi differenti.
A proposito della tutela dei nomi: complimenti per aver sostenuto la battaglia del corretto impiego delle denominazioni di vendita. Da
molti anni, il nostro settore ha ottenuto la tutela delle sue denominazioni tradizionali, confermata anche da una sentenza della Corte di Giustizia, ma a nostro avviso mancano strumenti per sanzionare chi le evoca in modo scorretto. Senza sanzioni è difficile contrastare le fughe in avanti di alcuni, come la “mozzarella vegana”, la “mezzarella” o il “fermaggio”. Cosa si può fare per rafforzare la protezione dei nostri nomi più tradizionali?
Come cittadino e, a maggior ragione, come presidente di Commissione Agricoltura della Camera, credo sia doveroso tutelare il nostro prezioso patrimonio agroalimentare. Il sempre più diffuso fenomeno dell’impiego irregolare di denominazioni lattiere o a richiami alle stesse per descrivere, definire e pubblicizzare prodotti ottenuti a partire da ingredienti di origine vegetale oppure nei quali gli ingredienti lattieri sono sostituiti in tutto o in parte da ingredienti di origine differente è ingannevole per il consumatore, crea confusione tra prodotti appartenenti a categorie alimentari distinte e altera il mercato, a danno di tutta la filiera latte nazionale. La denominazione “latte” e quelle lattiero-casearie sono tutelate dalla normativa europea con il Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013, ma il nostro Paese non ha introdotto specifiche misure sanzionatorie per la violazione delle disposizioni contenute nel regolamento. Per questo, dopo aver sostenuto la battaglia per il riconoscimento del divieto di denominazione di carne per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali, mi sono reso primo firmatario della proposta di legge (A.C. 161 che reca “Disposizioni relative a sanzioni per la violazione della protezione delle denominazioni lattiero-casearie di cui al Regolamento europeo n. 1308/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013”, con la quale intendo introdurre sanzioni per tutelare efficacemente il settore lattiero caseario, primo comparto dell’industria alimentare italiana, fonte di lavoro e ricchezza, nonché icona di eccellenza nel mondo.
La riforma della normativa sui prodotti Dop e Igp sembra essere arrivata al termine del suo lungo percorso. Cosa ne pensa delle nuove norme a tutela dei nostri formaggi più rinomati nel mondo?
La riforma della normativa sui prodotti Dop e Igp rappresenta un importante risultato per garantire che il nostro patrimonio gastronomico sia preservato e certificato come autentico, nell’Unione Europea e nel mondo. Una novità
importante è l’inserimento obbligatorio del nome del caseificio di produzione in etichetta, fino ad ora solo facoltativo. Ciò che contraddistingue i prodotti
Dop e Igp è che sono il frutto di una combinazione unica di fattori umani e ambientali specifici di un determinato territorio. Avere piena garanzia della
qualità e dell’origine dei prodotti che si acquistano è maggiore nel caso degli acquisiti online, dove i fenomeni di contraffazione sono maggiori. Ed
è per questo che, grazie alla normativa europea, saranno oscurati i siti Internet che evocano nomi o denominazioni non autorizzati.
Siamo tutti d’accordo sul fatto che l’ambiente è un bene da salvaguardare e il futuro del pianeta è caro a tutti. È evidente, però, che alcune politiche europee trascurano l’impatto economico di alcune decisioni. Sappiamo che anche lei si è detto un po’ scettico sugli estremismi della cosiddetta “svolta green” nel settore alimentare; svolta che potrebbe avere ripercussioni addirittura negative sull’ambiente per i contraccolpi sulla gestione del territorio. Come assicurare una transizione armoniosa delle attività agroalimentari, che evitino impatti negativi sui sistemi agroindustriali?
La doverosa tutela dell’ambiente ha assunto le sembianze di una battaglia ideologica in ragione di una sostenibilità che demonizza agricoltori e allevatori in una narrazione distorta della realtà. Il pericolo reale è che dietro il concetto
astratto di sostenibilità si nasconda il concetto di sostituibilità, sganciando completamente le premesse iniziali dalle conseguenze delle politiche
che si mettono in atto. Una transizione armoniosa è possibile, grazie al buon senso, alla ricerca, alle nuove tecnologie, che sono in continuo divenire anche in questo settore e, soprattutto, attraverso regole che non rendano l’agricoltura
nemica dell’ambiente. Questo è possibile solo ricollocando l’agricoltura dove deve stare, cioè al centro della visione politica del Paese.